Per me che compio 45 anni c'è un regalo meraviglioso.
Tutto sta nelle parole scritte che poi sono sempre il mio baricentro, che le legga, soprattutto.
E in questo regalo c'è quello che volevo e che cercavo e, come sempre capita con i meravigliosi regali, io non sapevo di averne bisogno.
Mi sono ritrovata davanti alla famosa ode comunemente nota come il "Carpe Diem" di Orazio.
Massì, l'avevo già letta anni fa, e non l'avevo capita.
Perché prima, prima dei 45 anni, prima di certi dolori e di certi errori, prima di questa consapevolezza e di questa rassegnazione, prima di aver capito che sempre il teatro della vita è una tragedia che contiene anche molte commedie, dicevo, prima, per me aveva un significato diverso.
Quello sbagliato perché le parole sono arte e devono essere osservate e capite e più si conosce e più offrono a chi le legge, perché è nella conoscenza che l'arte schiude i suoi più profondi e preziosi misteri.
Prima, questo 'Carpe Diem', era il divorare la vita, il correre e non lasciarsi sfuggire una occasione, era affrontare con il petto per afferrare ogni momento, era il bere a grandi sorsate l'essenza dell'esistenza. Era un'enormità ed era impossibile, era una ricerca vana.
Ma ora, a 45 anni, ci si può fermare e riflettere su ognuna delle parole che la compongono e si comprende il suo migliore significato, quello che ha a che fare con la calma, con una pacata serenità che davvero afferra l'oggi, che davvero gode della semplicità del momento. Non c'è nessuna frenetica ricerca di ciò che sfugge, c'è la vita come ci si presenta ogni giorno: 'filtra vini', dice Orazio, 'tronca lunghe speranze per la vita breve'.
Prima non potevo capire, ora la leggo e la rileggo perché bisogna fare entrare piano le parole che sono fragili e che lettura dopo lettura si fanno spazio nella nostra anima e arrivano al punto, all'essenza.
Ed è lì che voglio arrivare, al vero Carpe Diem, il meraviglioso regalo per i miei 45 anni.
Non chiedere, o Leucònoe (è illegittimo saperlo), qual fine
abbiano a te e a me assegnato gli dèi,
e non scrutare gli oroscopi babilonesi. Quant’è meglio accettare
quel che sarà! Ti abbia assegnato Giove molti inverni,
oppure ultimo quello che ora affatica il mare Tirreno
contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca
lunghe speranze per la vita breve. Parliamo, e intanto fugge l’astioso
tempo. Afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.
Tu ne quaesieris – scire nefas – quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius quicquid erit pati.
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias, uina liques et spatio breui
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit inuida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
IO
Orazio, Carmina, Libro I, n.11:. Monografie Mondadori, traduzione di Luca Canali, anno 1997.